IL SEPOLCRO ISTORIATO DI GIUSEPPE MUSSO
Negli anni trenta dell’Ottocento un laiguegliese molto facoltoso, Giuseppe Musso, realizzava l’ambiziosa idea di dotare la chiesa parrocchiale di un grande apparato effimero, un Sepolcro pasquale concepito come un vero e proprio teatro completo di proscenio, palco, sottopalco, quinte e fondale.
Poligrafo e attore dilettante, Giuseppe ereditava la passione per la pittura dal padre Giovanni Battista (1774-1837), che nei primi anni del secolo aveva frequentato a Genova i corsi dell’Accademia Ligustica, e che negli ultimi anni della sua vita dovette assistere il figlio nella realizzazione del suo progetto.
Interno della parrocchiale con il “cartelame” o apparato effimero del Sepolcro istoriato che oggi, nel transetto destro, si sovrappone all’altare delle Anime. Foto Giovanni Hänninen
Un dettaglio del Sepolcro istoriato realizzato da Giuseppe Musso intorno al quarto decennio dell’Ottocento e riallestito (2014) nel transetto destro della Parrocchiale. Foto Giovanni Hänninen
Le varie parti del “Sepolcro istoriato”, o del gigantesco cartelame (così venivano un tempo definiti quei sacri allestimenti) venivano realizzate, dallo stesso Giuseppe e dalla sua équipe famigliare, tra il 1835 e il ’37. Ma il montaggio completo dell’apparato nel braccio destro del transetto – in corrispondenza dell’altare delle Anime, che veniva così ad esserne occultato – si poteva attuare solo nel 1855: e questo anche per via della comprensibile resistenza che la popolazione tendeva ad opporre a un’installazione tanto complessa e difficile.
Si conveniva per un montaggio a cadenza quinquennale, che però col tempo – e soprattutto dopo la morte di Giuseppe – veniva sempre meno rispettato, o limitato alla giustapposizione di alcuni elementi (quinte e fondale) sulle pareti del transetto, lasciando da parte il palco e lo stesso proscenio che, oltretutto, si prestava a pericolosi cedimenti in corrispondenza dell’arco centrale.
Dimenticate nella cantoria, le varie parti dell’apparato vi giacevano accatastate per decenni fino alla loro “riscoperta” (2009) da parte dei tecnici della Soprintendenza impegnati nelle ricerche sui cartelami.
Il grande Sepolcro Istoriato ottocentesco riallestito nel transetto destro della parrocchiale di San Matteo. Foto Giovanni Hänninen
Le varie parti del “Sepolcro istoriato”, o del gigantesco cartelame (così venivano un tempo definiti quei sacri allestimenti) venivano realizzate, dallo stesso Giuseppe e dalla sua équipe famigliare, tra il 1835 e il ’37. Ma il montaggio completo dell’apparato nel braccio destro del transetto – in corrispondenza dell’altare delle Anime, che veniva così ad esserne occultato – si poteva attuare solo nel 1855: e questo anche per via della comprensibile resistenza che la popolazione tendeva ad opporre a un’installazione tanto complessa e difficile.
Si conveniva per un montaggio a cadenza quinquennale, che però col tempo – e soprattutto dopo la morte di Giuseppe – veniva sempre meno rispettato, o limitato alla giustapposizione di alcuni elementi (quinte e fondale) sulle pareti del transetto, lasciando da parte il palco e lo stesso proscenio che, oltretutto, si prestava a pericolosi cedimenti in corrispondenza dell’arco centrale.
Dimenticate nella cantoria, le varie parti dell’apparato vi giacevano accatastate per decenni fino alla loro “riscoperta” (2009) da parte dei tecnici della Soprintendenza impegnati nelle ricerche sui cartelami.
Una suggestiva veduta del Sepolcro istoriato: in primo piano, la struttura dell'Angelo con tavolette di legno accostate e fissate, secondo la tradizione costruttiva di questi apparati effimeri o "cartelami". Foto Giovanni Hänninen
Grazie a un finanziamento della Fondazione Carige e al generoso contributo della popolazione, il “Sepolcro istoriato” era sottoposto a delicati interventi di restauro (Cesare Pagliero, 2011-2012; Formento, 2013-2014), in vista della sua esposizione alla mostra Il Gran Teatro dei Cartelami (Genova, Palazzo Ducale, 2013) e a una successiva ricollocazione in chiesa, nello spazio del transetto.
La grande fortuna che da quel momento il grande apparato ha incontrato presso un vasto pubblico, e un felicissimo impiego in funzione di eventi culturali, in particolare musicali e teatrali, hanno contribuito sinora a mantenerlo montato nel “suo” spazio.
I quattro grandi piani verticali (proscenio, quinte, fondale) sono composti da un assemblaggio di teleri, uniti in origine sul retro da un complesso sistema di regoli e ponticelli, ma oggi sorretti da una più affidabile struttura di elementi metallici. A questi 160 mq di superfici dipinte si devono aggiungere le sagome lignee che durante la Settimana Santa danno vita, in momenti diversi, alle scene dalla Deposizione e dell’Annuncio dell’angelo davanti al sepolcro vuoto.
Il proscenio, che nella parte inferiore ha un varco d’accesso al sottopalco, accoglie iscrizioni bibliche ed evangeliche ed è animato dalle finte statue marmoree dei Profeti Maggiori (Isaia, Daniele, Ezechiele, Geremia) e delle Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità). Il suo tono neoclassico contrasta con lo spiccato aspetto esotico delle due quinte, che rimanda agli interessi naturalistici di Musso e ai suoi viaggi in America Latina. Nello scabro paesaggio roccioso del fondale spicca, tra le nubi, un’apertura sagomata e provvista di un pannello scorrevole di chiusura: il vano retrostante era stato concepito per ospitare l’urna che custodisce l’ostia consacrata il Giovedì Santo per la funzione del Venerdì (il giorno “aliturgico”, interdetto alla consacrazione).