Il crocifisso tardomedievale

Il crocifisso tardomedievale

IL CROCIFISSO TARDOMEDIEVALE


Nella sacrestia di san Matteo si conserva un imponente Crocifisso ligneo quattrocentesco, montato su una croce di qualche secolo più tarda. Si ritiene che possa provenire dalla primitiva parrocchiale, dove forse era stato messo a campeggiare sulla soglia del vano presbiteriale. Gli studi condotti, negli ultimi decenni, sulla scultura ligure tardomedievale hanno consentito di ambientarlo all’interno di una “famiglia” di manufatti prodotti in un’area relativamente ampia, che si estende dalla Liguria di ponente alle valli del Cuneese e alle Alpi francesi: sono Crocifissi databili per lo più all’ultimo quarto del Quattrocento, nei quali la drammaticità estenuata e l’anatomia sofferta degli esemplari riferibili ai decenni iniziali del secolo si attenua per suggerire un’immagine sublimata, meno tormentata, del dolore.
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Il Crocifisso quattrocentesco, forse appartenuto all’antica Parrocchiale, oggi esposto nella sacrestia di San Matteo. Foto Giovanni Hänninen
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Il Crocifisso quattrocentesco, particolare. Foto Giovanni Hänninen
Accomunate da una ricerca di proporzioni anatomiche sempre estenuate, ma più fini ed armoniche, queste sculture potevano passare dalle dimensioni eccezionali del Cristo di Laigueglia a quelle, assai più contenute, dei Crocifissi processionali commissionati dalle confraternite dei penitenti Bianchi.
Tratto distintivo della serie, che conta ormai non meno di una trentina d’esemplari, la foggia di un perizoma a lembi sovrapposti e a pieghe schiacciate, con una lunga ricaduta lungo il fianco sinistro della figura e un nodo a forma di pomo schiacciato sull’altro lato. Per alcuni decenni, la notevole fortuna di questo modello è attestata dalla sua convinta adozione da parte di botteghe e personalità diverse.
Un prossimo intervento di restauro sul Crocifisso di Laigueglia potrà consentire valutazioni più precise, soprattutto dopo il recupero della sua policromia originale, oggi impedita da quelle stesse ridipinture che valgono, del resto, a testimoniare una devozione e un “affetto” non comuni.

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